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Minacciata la testimone che ha denunciato le tangenti in Rai (Testimoni in pericolo)


«Denunciai tangenti alla Rai e da allora vivo minacciata: chi mi proteggerà?» 
Orietta Petra rivelò gli affari su G8 e Gheddafi. «Un cestello per le riprese dall’alto (costo 700 euro) fu fatto pagare 15mila euro». «Un giorno, sul tergicristallo della mia auto, trovo un biglietto: “attenta a quello che fai”. Ecco è iniziata così».



Orietta Petra, 50 anni, la donna che ha denunciato un giro di tangenti in Rai, oggi vive sotto scorta. Quattro anni fa, da addetta alla produzione di una piccola società televisiva, fece una cosa semplice: raccontare ciò che vedeva. Schermi da pochi soldi addebitati per migliaia di euro, attrezzatura di base fatturata quanto avveniristici componenti elettronici, avvenimenti ordinari travestiti da eventi planetari, tutto per drenare soldi alle aziende pubbliche. Dalla sua denuncia sono partite quattro inchieste e due processi che ruotano attorno all’imprenditore David Biancifiori e agli allora responsabili dell’immagine dell’ex premier Silvio Berlusconi, Roberto Gasparotti e Giovanni Mastropietro. Da allora, la Petra, ha collezionato un rosario di minacce, l’ultima delle quali risale a pochi giorni fa.

Qualcuno è entrato nel suo ufficio, un ente pubblico, sede istituzionale: «Succederà ancora» dice, preoccupata all’idea di restare senza protezione. La scorta le è stata rinnovata ma non ha ancora ottenuto lo status di testimone di giustizia. Si sente esposta, forse lo è.

L’elenco delle intimidazioni è lungo: «A dicembre 2014 — racconta — due uomini vengono sorpresi sul terrazzino della mia abitazione: il cane della vicina abbaia e li mette in fuga. A luglio 2015 trovo un biglietto: “l’uccellino smetterà di cantare”. A novembre, alla stazione ferroviaria di Monterotondo, due uomini con caschi integrali si avvicinano. Faccio in tempo a vedere che uno dei due ha la pistola. Tempo dopo, ancora in stazione, un uomo mi punta un coltello alla pancia. Il 27 novembre qualcuno devasta il mio appartamento...». Un episodio che funge da spartiacque: «Il
giorno dopo — ricorda — la direzione antimafia mi assegnò la scorta».
In qualche modo, dice, era tutto previsto fin da quel giorno di fine gennaio 2014: «Quando spedii la mia lettera di dimissioni alla Di.Bi. di Biancifiori» spiega.
Una decisione ragionata, assicura: «Non ero più me stessa, mi pareva di vivere la vita di un’altra. Vedevo sperperi inimmaginabili».
Svela, allora, che «un cestello meccanico per montare una telecamera per le riprese dall’alto» del costo di 700 euro fu fatto pagare alla televisione di stato «15mila euro». Che alcune riprese sulla visita di Gheddafi a Roma (era il giugno
2009, si arrivò ad allestire per l’occasione una tenda a villa Pamphili) costarono un milione e 800mila euro. Che per l’inaugurazione del passante di Mestre (2009) si spesero cifre leggendarie. O che per battezzare il Freccia Rossa «furono sperperati 400mila euro». Tutto questo, a voler tacere del G8 dell’Aquila, racconta.
«All’inizio — confessa —m’illudevo di poter cambiare le cose. Ricordo un colloquio con Mastropietro in cui lo avvisai che non sarei rimasta zitta ‘Dovete smetterla’ gli dissi. Ricordo che lui impallidì ma, di lì a poco, tutto continuò come al
solito. Non si poteva invertire la rotta».
Dopo le dimissioni la Petra si presenta in procura. Il pm Paolo Ielo fissa una serie di interrogatori. Viene ascoltata a lungo, racconta l’episodio della chiavetta usb: «Ero in ufficio, una collega mi passa la chiavetta sulla quale dovevo salvare la copia di alcuni progetti, la inserisco e si apre un elenco. Nomi, cognomi e cifre. Era la contabilità in nero dell’azienda». L’inchiesta decolla ma lei è sempre più sola: le
assegnano la scorta ma ci sono cose per le quali non c’è protezione: «All’inizio — dice — quando si seppe che avevo denunciato, nel mio ambiente nessuno mi salutava più». E’ corruzione ma sembra mafia.

Da: Il Corriere della Sera del 5 maggio 2018

Nota aggiuntiva:Biancifiori è considerato personaggio chiave dell’inchiesta, arrestato il 14 dicembre 2015. Secondo l’accusa le società di Biancifiori avrebbero ottenuto l’affidamento di lavori e servizi versando ai committenti denaro oppure offrendo loro altre utilità, come vacanze, biglietti aerei ed assunzioni. I fondi per questa attività sarebbero stati realizzati attraverso sovrafatturazioni dei lavori eseguiti. A Biancifiori sono già stati sequestrati beni per un valore di 49 milioni di euro.



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